Uncategorized

UNA SOLA CERTEZZA: IL TERRAPIATTISMO NON PASSERÀ

(NUDI ALLA META)


C’era una volta, tanti e tanti anni fa, un piccolo Paese che moltissimi anni prima era stato un po’ la culla della cultura mondiale. Intendiamoci: quando si dice “piccolo Paese” non si vuol far riferimento alle sue dimensioni, ché per quanto non ampissimo quello Stato poteva pur sempre vantare una superficie ragguardevole, né tanto meno all’esiguità della sua popolazione, la quale, pur in contrazione, superava di molto i cinquanta milioni di anime. No, qui s’intende un Paese rimpicciolito nella sua essenza, una civiltà che andava spegnendosi come per la sopravvenuta diminuzione della sua vis vitalis. Un po’, per capirci, come quel che racconta il buon Giacomo da Recanati nel suo “Dialogo d’Ercole e di Atlante”, dove l’intera Terra s’è come sgonfiata e “rassomiglia a un oriuolo che abbia rotta la molla; e quanto al ronzare, io non vi odo un zitto”.

Foto di GDJ, da Pixabay

Ora, in questo Paese, v’era una tradizione scolastica che aveva compiuto giusto giusto un secolo e che si chiamava Esame di Stato, ma tutti ancora la chiamavano affettuosamente “Esame di maturità” perché suonava meglio. Gli spazzini li si doveva chiamare operatori ecologici, ma l’esame non si offendeva e allora c’era chi se ne approfittava.

Questa antica tradizione, nel corso del tempo, s’era mutata millanta volte, secondo come illuminati Ministri dell’istruzione l’avevano concepita nel loro succedersi l’uno all’altro, nessuno escluso, pensando così di lasciare la propria impronta imperitura nell’almanacco storico della manifestazione folcloristica. E meno male che non si facevano dei piatti commemorativi in ceramica, perché altrimenti ce ne sarebbero stati interi servizi da 12.

E dunque, a scorrere gli almanacchi… Ecco l’originale e gloriosa Commissione esterna con un commissario interno, ma poi si passa a tutta interna con Presidente esterno e poi metà e metà, ma alle due prove scritte, se ne aggiunga una, preparata dagli interni e fatta scegliendo tra 6 tipologie possibili. Ad un certo punto si ritenga opportuno il tornare indietro, perché il modello non è abbastanza oggettivo e dunque si discuta sull’opportunità di far preparare, quella terza prova, dal Ministero e invece le altre dagli interni; ma d’improvviso, quando si è quasi deciso e si son stampati tomi alti un palmo zeppi di esempi, si smonti tutto e la terza sia tolta addirittura. E ancora, per il secondo scritto si mettano assieme due materie e poi si torni indietro a una sola, e si porti il punteggio da 60 a 100 e poi si concepiscano i crediti scolastici. Naturalmente il loro valore sia modificato più volte, così da dover ricalcolare quelli già attribuiti, e se ne approfitti per aumentare il credito pregresso fino ai due quinti del punteggio totale. Salvo scoprire che non si potrebbe arrivare a dare il massimo e dunque ci s’inventi dei punti aggiuntivi da dare un po’ “ad sentimentum sive prope ad cazzum”, per far tornare i conti. L’ultima prova parta con una tesina preparata del candidato. Anzi, niente tesina, ma poi ci si ripensi: tesina sì, perdio! Oppure, invece, materiale preparato dalla Commissione e fornito al candidato una settimana prima. Naturalmente, poco dopo, via anche quello.

Insomma, per farla breve, non c’erano due anni di seguito che si potesse pensare di comportarsi come s’era fatto la volta precedente. I Ministri gongolavano. Ce n’era per tutti. Onore e allori meglio che per i generali romani di ritorno dalla Gallia. Non facevano a tempo prender possesso del proprio ufficio che avevano pronta la specifica ordinanza ed era subito gloria. Ogni nuova riforma portava un nome inedito, come si fa per gli uragani, anche se quelle simpatiche perturbazioni fanno meno danni. Certo, la fama e la gloria erano effimere, ma c’erano pur sempre gli almanacchi a ricordare i nomi dei titolari del Dicastero e soprattutto, c’erano gli insegnanti che mandavano silenziose preghiere alla memoria di quanti s’erano così impegnati per mantenere la tradizione del piccolo Paese.

Al compimento del centesimo anno, s’è detto, la manifestazione folcloristica s’era definitivamente trasformata in una recita rievocativa. Non ci si metteva in costume perché molti dei commissari avevano un fisico ormai imbolsito dal decadere di quota 100 (per gli amanti del genere il riferimento è comprensibilissimo).

In quanto al valore effettivo della procedura, difficile pensare che potesse ancora essere probante di qualcosa. Del resto, le rappresentazioni folcloristiche si fanno solo per esigenze estetiche. Il giorno dopo si smonta il palco e si ripongono i vessilli.

Si prenda, solo come esempio, la prova orale, che tale non si poteva chiamare pena la fustigazione sulle gengive.

Il “colloquio”, in quel tempo, s’aveva da condurre a partire da uno spunto offerto al candidato, il quale, riflettendo su tale documento, poteva impostare a suo piacimento la prova. I Commissari si guardassero bene dall’intervenire. Se il candidato riusciva a fare collegamenti tra le varie discipline, nulla e nessuno lo poteva fermare (pena il ripetersi della già menzionata fustigazione). Certo, a volte tali collegamenti apparivano un po’ forzati. Si racconta (il fatto è testimoniato) che la fotografia di una pubblicità di sigari (la candidata parlava della crisi di Cuba) aveva richiamato l’attenzione sul tizio effigiato con aria soddisfatta a gustare un “cigarillo”. – Anche Carducci aveva i baffi! – aveva esclamato la studentessa, e aveva proseguito con un simpatico “pippone” sul ben noto Toscano (non il sigaro, il Poeta).

Ebbene, ho recentemente rinvenuto un documento che reputo assai significativo. Si tratta delle memorie di uno di quei Commissari in costume tradizionale.

In particolare, trattasi della lettera che tale insegnate, di ritorno da una di quelle prove di colloquio scriveva ad un amico e collega in pensione.

La riportiamo quasi integralmente, omettendo ogni riferimento che potesse far risalire alle generalità dell’estensore, anche se ormai, stante il tempo trascorso, dubitiamo possano esistere in vita non dico l’interessato, ma finanche i suoi epigoni di terza generazione.

Carissimo Gianni,

Come ti ho detto, oggi sono iniziati i colloqui della mia Commissione di S*****. Si tratta di uno stanco ed inutile rito al quale nessuno attribuisce più una seppur minima valenza. Uno dei candidati di turno (si tratta di un istituto per diplomare “Agrimensori”) ha iniziato la sua esposizione con davanti un’immagine scelta da un repertorio realizzato da noi Commissari. Naturalmente, come prevede la normativa, per la somministrazione dello spunto… “La commissione/classe provvede alla predisposizione e all’assegnazione dei materiali all’inizio di ogni giornata di colloquio, prima del loro avvio, per i relativi candidati. Il materiale è finalizzato a favorire la trattazione dei nodi concettuali caratterizzanti le diverse discipline e del loro rapporto interdisciplinare. Nella predisposizione dei materiali e nella assegnazione ai candidati la commissione/classe tiene conto del percorso didattico effettivamente svolto…”. Te la faccio breve. Il commissario interno ha insistito perché si utilizzasse un documento particolarmente adeguato per quel candidato e il Presidente ha trovato la cosa “adeguatissima alle indicazioni normative che regolano l’esame”. Su quell’immagine il candidato dev’essersi esercitato per mesi. E se non lo ha fatto è ancora più grave.

Ne è seguita una sbrodolatura verbale senza capo né coda che ha dimostrato sostanzialmente niente. Poteva anche inviarcela per posta o leggerla direttamente dagli appunti, ché almeno l’esposizione ne avrebbe guadagnato in correttezza formale e fluidità. Del resto, era impossibile fermarlo, perché bisogna ammettere che di qualcosa parlava. Quanto meno, muoveva le labbra ed emetteva suoni. Inoltre, se solo si faceva l’accenno di intervenire per correggerne gli sfondoni formali, s’incappava nello sguardo di bragia del Presidente di commissione, tradizionalmente terrorizzato da un ricorso per difformità formali, che è quel che più conta. Crolli l’intera struttura portante, il contenuto, ma sia salva l’architettura, il fregio, lo stucco stucchevole. Un’operazione di facciata, come per le installazioni degli studios cinematografici, con i falsi prospetti tenuti in piedi da dietro con sgangherati puntoni.

La mia materia (Topografia) si è ridotta ad una esposizione banale, per nulla tecnica, assolutamente generalista. Quello che ci si potrebbe attendere da un buon pensionato uso all’osservazione oziosa dei lavori stradali. Come Dio vuole, tuttavia, anche quella performance è finita.

Però, bisogna riconoscere che una sorta di coerenza culturale deve ancora averla, questo nostro scalcinatissimo Paese. Perfino in merito alle conoscenze topografiche. Perché tornando a casa ho avuto la sorpresa di leggere alcune dichiarazioni del nostro benamato Ministro della cultura. Il quale, avrai inteso anche tu, ha sottolineato come le intuizioni geodetiche del buon Cristoforo Colombo siano merito anche di quel geniaccio di Galileo, che ha trasmesso le sue teorie eliocentrice all’esploratore genovese un’ottantina d’anni prima di nascere.

La normalità stentiamo a gestirla, ma quando si tratta d’inventarci qualcosa di estroso siamo ancora davanti a tutti. A cominciare da quell’emerito estroso del nostro Ministro.

I terrapiattisti? Non ci fanno paura. Abbiamo la Qultura, dalla nostra. Tuo F*******.”

2 pensieri su “UNA SOLA CERTEZZA: IL TERRAPIATTISMO NON PASSERÀ”

  1. Se non fosse una cosa grave e pericolosa per il futuro del piccolo paese e delle sue generazioni future, si potrebbe fare una bella risata! Invece mi viene più da piangere pensando alla mia piccola creatura ed al mondo che le si prospetta! Come al solito problema centrato con ironia.

    Piace a 1 persona

    1. Cosa vuoi che ti dica, carissimo? Salviamo il “particulare”, come diceva Guicciardini. Forse questo, ci rimane. Provare a tener la barra dritta nel nostro piccolo, aspettando, se pur verranno, tempi migliori.

      "Mi piace"

Lascia un commento