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La sorpresa dell’Incipit

(Andar per piccoli tesori)

Si raccontava, qualche giorno fa, della meravigliosa esperienza di andare a scovare cose rare ed antiche nei mercatini dell’antiquariato. Parlavamo, allora, di una piccola scatoletta della manifattura Mengaroni, recuperata tra il materiale brutalmente stipato in una cassetta e dunque trasportata, tra mille scossoni, da una piazza all’altra.

Oggi, la narrazione riguarda un reperto un po’ meno bistrattato ma che offre, anch’esso, una particolarità, un elemento che lo rende sostanzialmente unico.

Prima di scoprire di cosa si tratta, occorre fare una breve premessa. Dunque, conviene precisare che le produzioni di ceramiche di un certo valore (artistico o quantomeno storico) in genere sono dotate, insieme al “marchio di fabbrica”, di un elemento numerico, ossia di un riferimento di catalogo che ne indica il modello o anche il tipo di decorazione. Naturalmente, questa numerazione segue una progressione strettamente cronologica, talché, se accanto al logo della fornace si trova il numero 148, solo per fare un esempio, si può star certi che il pezzo in questione è stato preceduto da altri cento quarantasette prodotti, distinti almeno per decorazione, ma il più delle volte totalmente differenti nel genere e nelle forme.

Qui sotto, un esempio di numero si catalogo per una delle famose statuine Girardi.

Manifattura Girardi: articolo n° 442 (damina con vaso)

Molte persone, lo si scopre scorrendo le offerte di vendita delle ceramiche su internet, confondono tale cifra con il numero di “pezzi” prodotti per quel modello, così che non raramente si trova la dicitura “… raro vaso della manifattura tal dei tali, in versione numerata e limitata”. A parte il fatto che tale evenienza sarebbe indicata con la classica espressione fratta (134 / 250, ossia 134esimo pezzo di 250 prodotti), va detto che tale sistema di certificazione caratterizza soprattutto le opere pittoriche (serigrafie, litografie) ossia quelle ottenibili da una matrice che poi viene distrutta.

Da quanto appena osservato, è ora facile comprendere che ad un numero di articolo più basso corrisponde un prodotto più antico, databile a ritroso e in tal senso sempre più prossimo all’epoca di fondazione del laboratorio artigianale che lo ha prodotto.

Orbene, facciamo ancora un piccolo inciso. Avete mai visto un “cacciatore di ceramiche” in azione?

Lo si riconosce facilmente. Se siete in un mercatino dell’usato o da un rigattiere, non potete sbagliare. Il cacciatore di ceramiche è quello che capovolge subito il pezzo che ha scovato nel mucchio. Se lo prende in mano e lo osserva da tutte le parti senza andare a guardaci sotto entro dieci secondi, difficilmente si tratta di un segugio di razza e credo che ormai ne abbiate capito il motivo.

Perché “sotto”, prima ancora che “sopra”, c’è tutto quel che serve per capire cosa si abbia in mano.

Se dopo aver guardato il “sotto”, al presunto cacciatore scappa anche un sorrisetto, difficilmente quel pezzo di ceramica resterà invenduto.

Va detto che io amo alla follia molti di quelli che gestiscono i mercatini dell’usato. Un po’ perché fanno un lavoro interessantissimo, molto perché contribuiscono, in larga misura, a salvare pezzi di storia dell’arte. Ma anche perché tra di loro si annidano creativi di rara ingenuità.

Per esempio, e vi giuro che non sto inventando niente, a dar retta al cartellino allegato, questo sotto sarebbe un “bambino con due colombe”. Si notino le tipiche colombe a collo lungo e con zampe palmate:

Mentre quest’altra sarebbe una “damina con volpina”. Sicuro, la famosa volpe scoiattolo del Kansas.

Ed arriviamo, finalmente, al nostro pezzo prezioso che è rimasto pazientemente in attesa.

Si presentava così, “da sopra”, ed era già un bel vedere:

È un vaso elegante, di dimensioni generose (26 cm di diametro per 21 di altezza), decorato a mano con grottesche (draghi, chimere…) nei classici colori delle maioliche d’epoca. Già, ma quale epoca?

La maiolica è freschissima, i colori vividi, per nulla sbiaditi.

Recentissima? Non facciamoci ingannare. Ormai, abbiamo capito che il materiale di una volta era di qualità superiore.

Il cartellino recitava: “Vaso DVL Italy”.

“DVL”? Mai sentito.

Ma all’ottavo secondo, capovolgendolo…

Osvaldo Dolci “Vincenzina ceramiche”

Oh, caspita!

Si scopre che la manifattura è la ben nota “Vincenzina ceramiche” di Osvaldo Dolci & C. (dunque D.O.C, non DVL!).

Gli altri soci, ossia gli “&C.”, sono Adelmo Fabbri, Gardo Remigi, Dino Lacchi a Angelo Bertaccioni.


Fondata nel 1934 a Gualdo Tadino, Vincenzina ceramiche rimarrà attiva fino al 1964.

Però, se si guarda bene… Aspettate, togliamo il ridicolo bollino rosso.

Notato niente? Visto il numero progressivo?

Si tratta proprio del primo pezzo uscito dalla fabbrica. Il primo modello, naturalmente; ma con un po’ di fantasia ci si può illudere che si tratti proprio del primo tra i primi.

A me non era mai capitato, per nessuna ceramica firmata.

Che si tratti di una rarità lo conferma anche un fatto storico ed accertato. A pochi mesi dalla fondazione, Osvaldo Dolci lascia la compagnia e fonda la “I.C.A.D.O.”.

Dunque, la manifattura cambia prestissimo ragione sociale e naturalmente anche il marchio di fabbrica, che diventa questo:

Un laboratorio, quindi, che nella versione societaria in cui era stato fondato ha lavorato addirittura pochi giorni. A quale numero progressivo di catalogo saranno arrivati? Quanti pezzi saranno stati ultimati? E di quelli, quanti saranno sopravvissuti fino ai giorni nostri?

Difficile dirlo. In 90 anni, io temo, molti saranno andati distrutti. Qualcuno si sarà conservato in un’antica soffitta, o in uno scantinato.

In attesa, speriamo, che qualcuno lo prenda in mano e sia uno di quelli che lo capovolge in meno di dieci secondi.

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